Raggio di Sole

Siamo nel 1955 quando Italo Calvino è incaricato da Giulio Einaudi di assistere Elsa De Giorgi per la pubblicazione del suo primo libro, I coetanei, un resoconto di idee che ritrae uomini dell’antifascismo e della resistenza romana. Lui è uno scrittore di 32 anni che ha già attirato l’attenzione verso di sè dopo i primi libri, soprattutto dopo Il Visconte dimezzato, lei è una donna più grande dal fascino devastante che si è divisa tra il cinema, il teatro e il mondo letterario, fa parte di una famiglia potente dopo aver sposato Sandrino Contini Bonaccossi. Confermano il primo appuntamento a Firenze durante una conferenza tenuta dallo stesso Calvino che affronta i dubbi e le speranze dell’intellettuale, così Elsa ricorda l’incontro: «guardandomi, Calvino, nello stringermi la mano che gli porgevo, ebbe un moto di meraviglia che gli disegnò sulla faccia quella ‘o’ e ve la conservò per qualche istante». Un appuntamento dell’intelletto che soltanto l’Amore poteva suggerire così, Calvino timidamente comincia a scriverle, poi scoppia il dramma. Sandrino, il marito di Elsa, sparisce in America dando inizio alla saga infinita dell’eredità Contini-Bonaccossi, storie torbide di quadri e di miliardi, di collezionisti e di mercanti, di conoscitori e di avvocati. Il grande scrittore di fronte a questa situazione misteriosa e incerta si prende del tempo, lo stesso tempo che Elsa dopo essersi allontanata inizialmente da lui, cerca di riconquistare, raggiungendolo a Torino e corrispondendo con dedizione il sentimento, attraverso un coraggio alimentato dalla genialità che sfida sempre il conformismo.

Fino al 1958 troviamo traccia di Elsa De Giorgi nelle dediche dello scrittore con Cara, Rara, Paloma, Onda, Raggio di Sole, gli echi mascherati di questo Amore si ritrovano anche nei suoi libri, un esempio tra tanti è la descrizione di Claudia nel racconto La nuvola di smog, un delizioso ritratto di Elsa. Ma il testamento più grande è l’epistolario, giacente dal novembre del 1994 nel fondo manoscritti dell’Università di Pavia. Consta di 297 lettere (e due poesie!) di Italo Calvino alla De Giorgi tutte di rilevante lunghezza delle quali 144 missive sono state sigillate in base alle disposizioni dei Beni Culturali sugli epistolari, per 25 anni, periodo per il quale non sono consultabili dato il carattere privato delle missive. Le restanti 153 lettere salvano per noi il lavoro dello scrittore, raccontano la fase embrionale di alcuni racconti composti in quegli anni, si aggiungono messaggi di carattere politico, editoriali e pensieri quotidiani. In questo epistolario c’è lo stupore che prova lo scrittore di fronte alla potenza di un sentimento: «Non avrei mai pensato che innamorarmi di te incidesse così profondamente in me, fino a toccare, a aprire crisi anche nella strumentazione più tecnica del mio lavoro, cioè del mio stile», e continua definendo la donna anche consigliera, «indispensabile, tanto da domandarmi, come ho fatto a scrivere per tanto tempo senza la tua lettura». Italo Calvino trovò una destinataria, dalla grande carica vitale su cui riversare inquieti monologhi interiori, perciò confessa che lontano da lei è come scrivere nel buio, i suoi pensieri hanno bisogno della sua polemica. Gli effetti psicologici di questo incontro, lo dirigono verso la bellezza, verso una passione vera. È questo che fortunatamente gli è accaduto. Ed è questo che lettera dopo lettera spiega con pensieri gradevoli a volte spiritosi, dedicati anche al telefono e al treno due oggetti che fino a quel momento Calvino non amava e poi diventati strumenti importanti per il supporto che offrivano nella relazione con Elsa, capovolge il suo punto di vista. Nel 1958 questo rapporto si interrompe bruscamente, Calvino parte per New York dopo aver vinto una borsa di studio e l’ultima lettera risale a 20 dicembre del 1959 con un incipit sincero «eccomi ancora qui a scriverti […]».

In questa raccolta epistolare c’è una lucida e fiera introspezione di un uomo e di uno scrittore che riversa sui fogli parole incontrollabili: «Il mio tallone d’Achille è la mia nevrastenia, lo sai; o meglio non lo sai, perchè mai sono stato così poco nevrastico come con te, perchè nonostante le crisi di disperazione io con te non conosco l’angoscia e la tensione minuto per minuto che tanto spesso mi ha paralizzato fin dall’infanzia. E della nevrastenia è utile chiedere perchè, e non mi si può aiutare». Nel gioco epistolare l’uomo è nudo così nel settembre del 1955 scrive: «come abbiamo saputo in mezzo a tutto questo costruire la nostra felicità, a fili, a festuche, come due uccelli che si costruiscono il nido in mezzo ai fili dell’alta tensione. Come hai sempre saputo combattere la mia tendenza a lasciarmi andare giù per il versante grigio della vita, come mi hai sempre insegnato a tenermi con la faccia al sole. Il dato di natura della tua bellezza è solo uno strumento». Ci auguriamo che questa splendida raccolta epistolare, un lascito senza prezzo, composta da quasi trecento lettere, un giorno sia illuminata da una stella che ci permetta di sentire il profumo di questa avventura poetica, di quel genio del narrare.