Intervista a Gabriele Nero

1. Prima di entrare nella tua libreria e accedere alla tua casa editrice raccontaci il libro di tutti i libri ossia la tua storia. Chi è Gabriele Nero e come è arrivato al centro storico di Valencia?

Hai detto bene Giovanna, raccontarti tutta la Gabrieleide, da quando sono partito da Torino nel 2008, significherebbe scrivere un libro! Posso dirti che quando sono partito, dopo essermi laureato in Beni Culturali, avevo parecchia confusione in testa. Ero partito con la scusa di un corso di spagnolo, ma poi per una serie di strane coincidenze mi sono trovato a fare il libraio, dopo pochi mesi dal mio arrivo. In quell’anno e mezzo che ho lavorato da dipendente, ho capito qual era il mio lavoro ideale. Chi lavora con i libri non ha privilegi economici. Chi sceglie questa carriera professionale lo fa perché la porta della libreria è un grande filtro verso il mondo, e le persone che decidono di varcarla, solo per questo gesto, meritano il nostro interesse e la nostra attenzione. L’avventura nella prima libreria è finita male, letteralmente a mazzate, così negli anni della crisi tra il 2009 e il 2013 ho fatto i lavori più disparati: vacanze studio, call center, venditore di spazi pubblicitari su internet e soprattutto 6 anni da pizzaiolo, anche dopo l’apertura della libreria nel 2013. Libraio di giorno e pizzaiolo di notte, stavo esaurendo come Lino Banfi nella scena dei tick in Vieni avanti cretino!  Nel 2013, al compimento dei miei 30 anni, ho deciso di provare a realizzare quello che era il grande sogno della mia vita: aprire una libreria che oltre a vendere libri, fosse un centro di idee vive e di rottura, una via di mezzo fra la Factory di Warhol e City Lights, la libreria della Beat Generation a San Francisco. Dopo tutte queste avventure, chi sono? Domanda da un milione di dollari. Sono principalmente quello che ho vissuto. Sono uno che si è sudato ogni piccola conquista, ogni piccolo sogno realizzato e anche nei fallimenti ci ho sempre messo la faccia. Provo ogni giorno a mantenere vivo quel Litte Boy, il ragazzo di 16 anni che continua a vivere dentro di noi, andando di passione in passione, resto capace di entusiasmarmi per la scoperta del mondo, per la lettura di un nuovo autore, per una nuova canzone. Sono una persona che prova a fare cose belle e in modo sincero, di chiacchieroni e rivoluzionari da tastiera ce ne sono già troppi. Penso che alzare ogni giorno la persiana di una libreria, o lavorare alla pubblicazione di un libro, sia un gesto molto più politico e di impegno civile, della militanza in quelli che sono diventati partiti-impresa.  Provo a combattere il brutto, il convenzionale, e i tanti bluff e i narcisi del mondo culturale contemporaneo.

2. Tra le storie di Kerouac c’è anche Il dottor Sax, la tua ispirazione, tanto da far nascere El Doctor Sax-Beat and Book.

Doctor Sax è un libro di Jack Kerouac del 1959. Kerouac stesso affermò che fosse il suo miglior libro, io sinceramente non credo lo sia, ma sicuramente è il più lisergico e visionario. In questo libro, lo scrittore americano sperimenta la tecnica di scrittura blow, lasciando fluire le parole e improvvisando come un musicista jazz. Sicuramente è uno dei suoi romanzi meno letti e meno capiti. La storia è ambientata nel 1948 a Lowell, città natale di Kerouac, dove, la semplice realtà di provincia del picccolo Jackie Dulouz (alter ego dello scrittore) viene perturbata dall’apparizione di questo misterioso dottore, che solo lui riesce a vedere e che lo accompagnerà a vivere un’avventura surreale: lo porterà ad affrontare il Grande Serpente del Mondo. Il personaggio del Dottor Sax, mi sembrava perfetto per spiegare che cosa significhi per me la letteratura, un elemento magico, fantastico e necessario nelle nostre vite, che può servirci per evadere dalla realtà, ma allo stesso tempo uno strumento per capirla meglio, nella sua complessità e follia. Per questo quando nel 2013 ho deciso di aprire la libreria a Valencia, dalla quale poi è partito il progetto editoriale, non ho avuto dubbi sul nome. In un certo senso l’idea di usare un titolo della beat generation era anche un modo per avvicinarmi a quello che era il mio modello di libreria-casa editrice, ovvero la fantastica City Lights, di Lawrence Ferlinghetti.

 3. Quali sono i sogni che hai liberato oltre quelli di carta?

Anche se indirettamente, tanti dei miei sogni sono legati ai libri e alla letteratura. Se ne parlo in ogni risposta, avrai già capito che uno dei miei più grandi sogni era andare a San Francisco, che per me rappresenta il cervello del mondo! E visto che sono fondamentalmente un esagerato ci sono tornato 2 volte in 2 anni, la prima nel 2017 la seconda per il centenario di Ferlinghetti nel 2019! Lì ho conosciuto tanti personaggi dell’intorno de Kerouac: dal poeta Jack Hirshman, al fotografo Chris Felver, a tante altre persone (penso alla proprietaria del mitico caffé Trieste) che indirettamente sono state testimoni della trasformazione di San Francisco dal beat al byte. In più a San Francisco ho conosciuto Mauro Aprile Zanetti, l’assistente personale di Ferlinghetti, un incontro di quelli che ti cambiano la vita. Lui mi ha messo in contatto con Luca Buoncristiano, autore di Libro Rotto,  che ha rappresentato il libro d’esordio perfetto per una nuova collana Crazy Diamonds dedicata alla letteratura contemporanea. Sogni ne ho realizzati tanti, soprattutto in questi ultimi anni, e continuo a farlo, perché sognare (ad occhi aperti, avere ambizioni) è necessario per ricordarsi di essere vivi.

 4. Cosa significa per te viaggiare?

Ricordo di aver letto un’intervista di Bowie in cui parlava dei soldi che aveva investito nella propria formazione. E non si riferiva certamente all’ultimo master, dell’Università dei Pettinati, ma faceva riferimento a i soldi che aveva investito in libri e viaggi. Per quanto oggi abbiamo mezzi tecnologici che ci permettono di parlare in tempo reale con Marte, penso che per conoscere davvero l’essenza delle cose sia necessario viverle in prima persona, e solo il viaggio e la lettura sono momenti esperienziali della nostra formazione. Quando conosco qualche pesona nuova, una delle prime domande è se ha vissuto all’estero, o comunque in quali paesi ha viaggiato, con la stessa curiosità, con la quale entrando in una casa di qualcuno che non conosco, sbircio i titoli in libreria. In più, per me, il viaggio, inteso come emigrazione, ha rappresentato la mia forma di ribellione, il fatto di poter scegliere la propria strada, sempre parafrando Bowie: a new career in a new town. Penso che emigrare sia una delle forme di ribellione più pure e insite nell’uomo che vuole essere padrone del proprio destino. Lo dico da figlio di emigrati dalla Calabria a Torino: i miei genitori prima di me hanno deciso di allontanarsi da una terra amara, ingrata, e dove per fare qualsiasi cosa devi scendere a compromessi eticamente inaccettabili. Io trent’anni dopo ho fatto la stessa cosa, cercando la mia strada in un altrove che mi permettesse di essere me stesso.

5.Quale libro avresti voluto scrivere e perché? 

Sono abituato a pensare al mio rapporto con la letteratura come un qualcosa di organico, che cambia, cresce e fiorisce, come una pianta. Quindici anni fa ti avrei detto senza dubbio La strada per Los Angeles di John Fante, dieci anni fa Il Grande Gatsby, dopo averlo riletto, visto che ai tempi dell’università non lo avevo capito. Oggi ti dico Martin Eden di Jack London, e so che tu come me sei una fanatica londoniana! In quel libro c’è tutto il nostro Jack: quello delle avventure impossibili, quello della lotte di classe, l’ubriacone, il vagabondo, il lavoratore/schiavo, il Jack innammorato… è come se in nuce contenesse le tematiche, oltre che dei suoi libri, della letteratura americana di tutto il Novecento. E poi è uno di quei libri che mi ha letteralmente salvato la vita. L’estate prima di aprire la libreria la mia vita era a un bivio. Avevo compiuto trent’anni, e continuavo a fare il “pizzaiolo letterato” a duemila chilometri da casa. Dovevo decidere se continuare per inerzia la mia vita o prendere baracca e burattini, e tornarmene a casa. Quell’estate è stato proprio questo libro, è stato Jack London, a dirmi di prendere in mano la mia vita, come fa Martin Eden. È stato Jack a farmi capire, con le sue parole, ma anche con il suo esempio, che la vita è un’occasione unica, e a volte va presa per le corna. Ricordo mentre leggevo le pagine in cui Martin lavorava nella lavanderia industriale, e mi rivedevo esattamente come lui, ma io in pizzeria, cercando di fare economia di movimenti, o passando il giorno di riposo a letto immobile, sfinito dalla stanchezza. Ancora oggi è il libro che tengo vicino sul comodino, e ogni volta che lo rileggo, mi sorprende per la potenza della storia, della prosa e per come con poche parole London riesca a montare e smontare l’immagine del suo personaggio più autobiografico. Visitare il suo ranch nella Valle di Sonoma in California è stata delle emozioni più grandi che mi ha regalato la letteratura. London, attraverso Martin Eden, i suoi racconti e la sua biografia, ci insegna quanto sia importante nella vita mettersi in gioco, tenendo presente che il fallimento è sempre dietro l’angolo, e fa parte del gioco. La biografia stessa di London è una serie di favolosi fallimenti (dalla Corsa all’oro, alla candidatura a sindaco di San Francisco…), l’importante è saper fallire: imparare la lezione, farne tesoro, rimboccarsi le maniche e rialzari e riprendere a correre più veloce. Il percorso perfetto non esiste, tutti prima o poi inciampiamo su qualche difficoltà, ma la differenza sta proprio nel come reagiamo. La leggenda vuole che davanti all’incendio che stava devastando The Wolf House, la casa  al cui progetto lavorò per dieci anni e nella quale aveva investito tutti i suoi risparmi, l’unica cosa che disse London fu: “La ricostruiremo più grande!”.

 6. Stiamo attraversando un periodo storico impegnativo. Parafrasando Pasolini punterei sulle piccole gioie che sulla speranza. Prossima piccola gioia in uscita?

Siamo appena usciti con due grandi gioie personali, come L’Uomo Elefante di Frederick Treves (a cura di Armando Rotondi) e con ReyPueblo un omaggio grafico a Diego Armando Maradona, opera dell’artista digitale Marco De Luca, che ci ha aiutato anche per tante copertine. Le uscite per i prossimi mesi includeranno un regalo bellissimo che ci ha lasciato il poeta Ivan Fassio, Nontiscordardimé, la sua ultima raccolta poetica, prima che la malattia ce lo portasse via. Inutile dirti quanto tenga a questo libro. Per chi non conoscesse Ivan Fassio, è stato per tanti anni il centro di gravità permanente della vita culturale torinese e in particolare nel quartiere di San Salvario. Il libro sarebbe dovuto uscire per il Salone del Libro 2020. L’ambizione di questa pubblicazione è quella di far conoscere Ivan Fassio al grande pubblico per quello che era: un grande poeta. Nelle prossime settimane inaugureremo una nuova collana dedicata alla musica e diretta da Eduardo Margaretto: Marquee Moon. La prima pubblicazione sarà Transmission, di Alessandro Angeli, sui Joy Division. Stiamo inoltre lavorando ad una graphic novel visionaria e sperimentale, a cura del nostro illustratore di riferimento, Riccardo Cecchetti, che reinterpreterà Il maestro e Margherita di Bulgakov. Per chi volesse saperne di più sulle prossime uscite, sulla nostra casa editrice o sulla nostra libreria, l’invito è di seguirci su Facebook, Instagram e visitando il nostro sito: http://www.eldoctorsax.blogspot.com.

7. La conclusione è di rito: nella vita di un essere umano la lettura non è un bisogno primario. Possiamo veramente fare a meno di essere dei lettori?

La lettura è uno di quei piaceri che possono essere raggiunti solo attraverso sacrifici. Hai ragione, non è un bisogno primario, nè un piacere immediato. La lettura richiede uno sforzo, e le soddisfazioni sono proporzionali all’impegno e alla dedizione che uno ci mette, qualcosa  di simile allo studio di uno strumento musicale, o una nuova lingua, o andare a correre. Ma se per questi tre esempi i vantaggi sono evidenti, quali sono i vantaggi di “essere allenati” alla lettura? La letteratura non mi ha reso più ricco, mi ha dato un lavoro abbastanza instabile, e per di più poco remuneritavo.  Allo stesso tempo mi ha dato la capacità di capire gli altri, di sapermi immedesimare anche in persone lontanissime dal mio modo di concepire la vita, per scoprire che alla fine Hanno tutti ragione. La letteratura ha aggiunto una profondità, una terza dimensione, a un’esistenza, quella contemporanea, altrimenti troppo piatta e omologata. Un bisogno non primario, ma sempre più necessario, in un mondo che si sta riempiendo di monadi narciste, disposte a tutto per apparire belle e felici nella bidimensionalità dei social media, ma che diventano invisibili agli occhi di chi, attraverso la lettura, ha acquisito questa capacità di vedere il mondo in profondità!