Uvaspina

«Uvaspina era nato otto mesi dopo, ed era venuto al mondo con una voglia a forma di chicco d’uva ma pallida come una luna sotto l’occhio sinistro», comincia così l’esordio di Monica Acito, autrice che cresce in Cilento e dopo il liceo si trasferisce a Napoli fino al 2019. Graziella, detta la Spaiata, è la madre di Uvaspina e Minuccia, di lavoro piange ai funerali dove conosce Pasquale Riccio, un notaio, che le chiede di sposarla; il matrimonio le permette un salto sociale, senza aggiungere felicità alla sua vita. Una donna nostalgica che impartisce sceneggiate di mestiere ma anche per essere vista e per farsi amare, senza risultato. Dare, prendere, aprire, chiudere, mostrare, nascondere, colpire, lasciare, questa famiglia sembra quasi che non sappia cosa fare per esserlo.

Uvaspina è un ragazzo che diventa uomo, il lettore segue la sua crescita, mentre subisce l’incuria di sua madre e la rabbia di sua sorella. C’è un destino in quel nome, non solo lo identifica con la sua macchia, ma è un frutto che viene spremuto per alleviare il dolore degli altri. Nella storia è significativo il legame dei due fratelli in quanto attiva delle traiettorie psicologiche utili a scoprire il piccolo universo che è in ognuno, a volte spento perché non arriva il proprio sguardo. È un rapporto che si basa sul potere soprattutto di Minuccia che detta le leggi della famiglia, tanto da essere paragonata allo strummolo. «Uvaspina aveva tredici anni quando capì una volta per tutte che sua sorella era uno strummolo. […] Tutti sapevano che anche Minuccia fosse risucchiata, ma Uvaspina lo sapeva che invece la sorella era aspirata dalla sua stessa forza centripeta, dalla spinta della trottola che girava, girava e poi a un certo punto ascendeva al cielo». Il fratello negli anni apprenderà come comportarsi quando lo strummolo perde equilibrio, quando si inceppa, impara ad attendere e non si ribella al male che impartisce, ama sua sorella e va avanti con la fiducia di un affrancamento. Stanco di sentirsi l’ultimo frutto sceglierà di tornare a Posillipo, «significava pausa dal dolore», dove finalmente vivrà la sua unicità; Uvaspina attiva una ‘controvita’ ossia partire dall’altro lato dell’esistenza, afferma la sua identità. Ci si sente vivi solo quando l’amore coincide con il movimento della libertà.

La storia accade nella Napoli senza tecnologia, una città consapevole che ammette con sincerità la sua nobiltà e la sua miseria, l’essere povera e sfarzosa, dolente e felice; il quartiere di Chia, Marechiaro, San Biagio dei Librai, ogni luogo genera tempo. La scrittura amalgama il linguaggio aulico, la lingua italiana e il dialetto produce continue immagini. È un romanzo straordinario che propongo di leggere a tutte le persone che almeno una volta si sono trovate a sopportare una situazione familiare complicata, avverrà un riconoscimento necessario per riscattare la saggezza conquistata con fatica. Uvaspina si insinua nella quotidianità del lettore con dolce determinazione e tra le righe dice che esiste la parola ‘basta’ prima di ogni opportunità; Uvaspina dice proprio a te che può nascere una storia se esiste una realtà comune.

MONICA ACITO
Uvaspina
Bompiani