C’è un filo di canapa ricavato da un groviglio grezzo lasciato in ammollo nel fiume, essiccato al sole, che viene dipanato e infine trattato per farne una corda, un panno o un corredo per la figlia da maritare. Occorrono quattro stagioni perché la canapa passi dallo stato grezzo alla rifinitura che sa fare una mano esperta e questa raccolta di racconti inediti, che spazia da un’infanzia incantata all’età in cui la sofferenza e il dolore sembrano una spirale senza fine, per poi approdare alla stagione della meditazione, mostra come quella lenta lavorazione artigianale abbia segnato la strada di Rina Gatti nel tessere e ricucire insieme il canovaccio di un’esistenza.
C’è un momento, fotografato in un racconto che si colloca verso la conclusione della raccolta, in cui il carico di sofferenza e di patimenti che ha visto protagonisti bambini febbricitanti, mogli percosse e malati trattati come pratiche burocratiche, si interrompe e lascia il testimone ad un grande smarrimento: giunta all’età del meritato riposo, Rina Gatti non sente più la voce dei campi e il canto delle stagioni, ma è frastornata dalla frenesia della città che si sveglia con i camion dei netturbini, i passi affrettati dei vicini di casa, l’indistinto vocio dell’indifferenza che lascia confusi e orfani di un mondo scomparso. Una condizione desolante da cui molte persone anziane non trovano la via d’uscita.
Non è questa però la conclusione della raccolta, perché con l’arrivo della pensione, della tranquillità e del relativo benessere, arriva anche il rumore entusiasmante del primo viaggio in aereo, il cicalio delle comitive festanti e soprattutto il placido cullare delle onde sulla battigia in un giorno d’estate. Chissà se Teti non si sia risvegliata dagli abissi e non abbia inviato le Ondine a placare l’animo di questa donna e ad ispirarla, così come fece con il figlio Achille dopo la morte di Patroclo, perché in quell’assolato pomeriggio Rina Gatti prende in mano la penna e comincia a scrivere, a dipanare, come un tempo si faceva con la canapa, questo groviglio di ricordi e sensazioni. L’autrice è riuscita a cogliere, con grande lucidità, un passaggio storico della società italiana: l’arrivo della pensione ha significato per un’intera generazione l’uscita da un regime di privazioni e di sacrifici ed ha consentito a molti di riposarsi, di riflettere e di scoprire se stessi.
“Eravamo come i fiori nei campi (…) nati a dispetto di tutto” e destinati a invecchiare accanto al camino come degli utensili dismessi, potremmo aggiungere, invece Rina Gatti, nel racconto conclusivo, parla della sua rinascita attraverso la scrittura, che lei chiama “la cura di sé”, che le ha consentito di portare alla luce quella coscienza interiore che i vecchi padri padroni e certe donne sottomesse incontrate in queste pagine purtroppo non hanno mai avuto.
RINA GATTI
Il panno di canapa e altri racconti
Aguaplano
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