Il mio Calvino

 

Italo Calvino (secondo nome Giovanni!) muore il 19 settembre del 1985 e viene sepolto a Castiglione della Pescaia in un cimitero collinare dove è possibile osservare il mare che abbraccia la terra. A partire dal 1972 trascorre tutte le sue estati nella pineta di Roccamare, è il suo luogo dell’anima, terra d’ispirazione. “Il mio Calvino” sono le tracce che ho seguito negli ultimi anni al di fuori dei suoi romanzi e dei suoi saggi, sono i documenti i carteggi rincorsi e poi trovati. Pagine rivelatrici di avvenimenti in grado di evocare emozioni e lasciare un segno.

Condivido una piccola parte della conferenza che fece il 17 febbraio del 1955, tratta la figura dell’intellettuale. Appena promosso dirigente della casa editrice Einaudi fu invitato da Anna Banti a partecipare al convegno fiorentino e intervenne con una relazione dal titolo Il midollo del leone: una delle più belle pagine mai lette (e rilette) perchè si percepisce la doppia realtà interiore di Calvino, il contrasto fra esigenze creative e la discesa sulla terra.

«Le cose che la letteratura può ricercare e insegnare sono poche ma insostituibili: il modo di guardare il prossimo e se stessi, di porre in relazione fatti personali e fatti generali, di attribuire valore a piccole cose o a grandi, di considerare i propri limiti e vizi e gli altrui, di trovare le proporzioni della vita, e il posto dell’amore in essa, e la sua forza e il suo ritmo, e il posto della morte, il modo di pensarci o non pensarci; la letteratura può insegnare la durezza, la pietà, la tristezza, l’ironia, l’umorismo, e tante altre di queste cose necessarie e difficili. Il resto lo si vada a imparare altrove, dalla scienza, dalla storia, dalla vita, come noi tutti dobbiamo continuamente andare ad impararlo. Il rapporto affettivo con la realtà non ci interessa; non ci interessa la commozione, la nostalgia, l’idillio, schermi pietosi, soluzioni ingannevoli per la difficoltà dell’oggi: meglio la bocca amara e un po’ storta di chi non vuole nascondersi nulla della realtà negativa del mondo. Meglio sì, purché lo sguardo abbia abbastanza umiltà e acume per esser continuamente capace di cogliere il guizzo di ciò che inaspettatamente ti si rivela giusto, bello, vero, in un incontro umano, in un fatto di civiltà, nel modo in cui un’ora trascorre (…) Non scambiamo la terribilità delle cose reali con la terribilità delle cose scritte, non dimentichiamo che è contro la realtà terribile che dobbiamo batterci anche giovandoci delle armi che la poesia terribile può darci. La paura per le cose scritte è una deformazione professionale degli intellettuali, che vogliamo lasciare tutta a loro. È sempre con curiosità e speranza e meraviglia che il giovane, l’operaio, il contadino che ha preso gusto a leggere, aprono un libro nuovo. Sempre così vorremmo che venissero aperti anche i nostri»

Italo Calvino

Ph. Pineta di Roccamare (Castiglione della Pescaia). Agosto 2015.