Il dono

Il Dono è l’ultimo romanzo scritto in russo da Vladimir Nabokov tra il 1935 e il 1937 e pubblicato a puntate dalla rivista dell’emigrazione «Sovremennye Zapiski» tra il 1937 e il 1938, ebbe  la sua prima edizione integrale nel 1952. Nabokov nel periodo in cui scrisse il romanzo viveva a Berlino, in sincronia con il protagonista un giovane poeta, Fedor Godunov-Cerdyncev che dalla Russia emigrò in Germania. Fedor è il figlio di un esploratore dell’Asia centrale,  fa una spietata corte a Zina Mertz, mentre si tormenta e si specchia quando legge le poesie di Konceev. È influenzato dall’ascesa  della dittatura che appartiene al periodo in cui il romanzo è ambientato, dall’invenzione artistica traspare la storia.

 

Il giovane scrittore che muove i primi passi,  cerca affannosamente il proprio genere e il proprio stile ed ogni giorno apre il giornale sperando di leggere una critica, una recensione, gesti di considerazione verso i suoi manoscritti. Fedor si aggira per il mondo romanzesco sdoppiandosi, triplicandosi seguendo tutto ciò che entra nella propria sorte, quelle esperienze che mette al servizio della poesia con il tentativo di conservare e proteggere la felicità: “E meditando sui metodi del destino trovò finalmente il filo rosso, l’anima segreta, la brillante idea scacchistica del romanzo progettato in modo ancora vaghissimo, quello in cui il giorno prima aveva accennato di sfuggita nella lettera alla madre. E di quel romanzo cominciò a parlare, come se fosse l’unica,  la più bella e naturale espressione della felicità, una felicità che proprio li accanto aveva la sua vulgata in cose come la consistenza di velluto dell’aria, tre foglie di tiglio color smeraldo finite nel raggio di luce del lampione, la birra ghiacciata, i vulcani lunari della purea di patate, l’eco indistinta di conversazioni, il suono dei passi, una stella tra rovine di nubi…

 

Amo questo libro e continuo ad amare il ricordo di questa lettura, osservavo la vita del protagonista e il suo divenire, quando cominciò a distinguere la verità dalla menzogna. La narrazione spesso interrotta da digressioni e sogni è materia che lo scrittore plasma con abilità. Non credo sia possibile non leggere uno dei romanzi più belli che il novecento ha donato alla letteratura russa. Un dono ai poeti e alla loro poesia, un dono queste parole di cui le pagine sono tessute, imbastendo metafore. “Ho vissuto qui due anni esatti, a molte cose ho pensato qui dentro, sulla carta da parati è passata l’ombra della mia carovana, sul tappeto sono fioriti gigli dalla cenere delle mie sigarette, ma ora il viaggio è finito. I torrenti di libri hanno fatto ritorno all’oceano della biblioteca. Non so se un giorno rileggerò le minute e gli appunti che ho infilato nella valigia sotto la biancheria, ma so che non metterò più piede qui dentro, mai più”.

 

VLADIMIR NABOKOV
Il dono
Biblioteca Adelphi