Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento – Intervista

 

Ho letto una biografia romanzata appassionata dal titolo, Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento, edito da Bompiani nel 2019 (edizione ampliata di Rimbaud, A. Mondadori), definito dallo stesso Minore come un “figlio” prediletto, che gli ha regalato il Premio Selezione Campiello nel 1991. Renato Minore è nato a Chieti, ma risiede a Roma. Nella vita si è sempre dedicato alla divulgazione culturale anche attraverso la tv e la radio, curando programmi come ‘Bravo chi legge’ e ‘L’altra edicola’. Ha insegnato Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa all’Università di Roma e poi alla Luiss. Poeta (il suo ultimo libro di poesia O caro pensiero ha vinto nel 2019 il Premio Viareggio); narratore (finalista Premio Strega con Leopardi l’infanzia le città gli amori); critico letterario (del Messaggero dal 1980, ha scritto per Repubblica, Il mondo, Paragone). Di seguito l’intervista (purtroppo!) a distanza gentilmente concessa.

1)  La lettura di ‘Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento’ è necessaria per comprendere il poeta di Charleville e la sua opera. Qual è la genesi di questa pubblicazione e lo scopo?

Il nuovo Rimbaud del 2019 è un po’ levitato rispetto al precedente: qui c’è come aggiunta una sorta di reportage sui suoi luoghi che potrebbe benissimo essere una fiction, lì la fiction aveva l’aspetto ingannevole di un reportage sulla vita e suoi luoghi. Cosa mi attrae? In una vita così piena di mistero, una vita così assente, così avvolta su sé stessa e sul suo enigma, si trattava di impostare una sorta di giallo, un racconto di quel mistero. Un racconto che sapesse mettere insieme la sua precocità, la sua afasia, la sua scomparsa dal mondo, i suoi traffici forse illeciti. Volevo raccontare un poeta diventato avventuriero. Un poeta geniale e scandaloso, che forse come nessuno ha incarnato un’idea di poesia vista come trascinante forza conoscitiva. Si potrebbe dire anche così: per centrare quel mistero che è Rimbaud ho cercato l’unica forma di verità che rende felici, il racconto. Ho cercato di “raccontare” quello che è impossibile raccontare, il senso di una vita segnata e poi bruciata dalla ferita profonda dell’urgenza della parola poetica: il viaggio che racconto è anche la cronaca di quell’obbiettivo da centrare, ugualmente impossibile perché l’immagine si sposta e si ridefinisce sempre.

2)  Un lavoro di ricerca straordinario. Lei ha rincorso l’esistenza di Arthur Rimbaud come il poeta ha rincorso le sue poesie. Qual è il mistero più vero di questa esistenza?

Non esiste altro esempio di poeta così perfetto, sicuro e autorevole con un esordio tanto folgorante che poi scivola nel vuoto assoluto. Un poeta che si fa anche carico di una funzione sociale e sacrale i cui versi vogliono avere un timbro profetico, salvifico. La poesia è spesso un alibi, dici poesia e tocchi (pensi di toccare) un livello a priori di comunicazione superiore, garantita dalla marca. Non è così, ci dice Rimbaud: la poesia come prova, rischio, ricerca costante, continuo riequilibrio del peso specifico della parola è sempre qualcosa che, come la lepre delle favole, puoi continuare a inseguire, puoi anche sfiorarla. E poi, lo sappiamo scompare definitivamente, un fantasma presto dissolto nel nulla. Ma proprio la corsa con cui la insegui ne segna, con il battito del tuo cuore, la necessaria velocità per non perderla di vista. E poi la vita. «Il poeta della rivolta, e il massimo», scrisse Camus. Da oltre un secolo si sono accumulate su di lui ciarle d’ogni tipo, rievocazioni scientifiche e fantasiose, biografie romanzate, saggi accademici, film anche mediocri. Il suo abbandono dell’attività poetica alle soglie dei vent’anni ha causato una costernazione più duratura e diffusa di quella determinata dallo scioglimento dei Beatles. Ancora oggi su Internet si diffondono leggende su di lui, uno dei personaggi dall’influenza più distruttiva e liberatoria sulla cultura del secolo che abbiamo alle spalle, e sulla sua carriera. In vita, non solo di poeta con la sua travolgente meteora, ma di esploratore, commerciante, contrabbandiere, cambiavalute, profeta mussulmano. E postuma, come simbolista, surrealista, poeta beat, studente, rivoluzionario, paroliere rock, antesignano gay e tossicodipendente, vagabondo e visionario, Angelo dell’omosessualità, della violazione, della lotta alla borghesia, della ribellione, il primo poeta che seppe ripudiare i miti «dai quali la sua epurazione ancora dipende». L’enfant prodige, il genio ribelle e visionario, il «pederasta assassino» dei Goncourt nella violenta storia d’amore con Verlaine, l’avventuriero, l’uomo d’affari. Sempre in fuga, mai appagato: «Mi annoio molto, sempre. Non ho mai conosciuto nessuno che si annoiasse come me», scrive dall’Africa.

3) Irrequieto e selvatico Rimbaud, inizia da sedicenne le sue fughe, la prima verso Parigi, una città caratterizzata dalla poesia di Mallarmé e Valerne, che rimangono stupefatti dalla sua presenza e il suo talento.

Lei individua nel viaggio una delle chiavi di lettura del grande poeta. Si tratta di un tema che attraversa tutto il secolo, basti pensare a Charles Baudelaire. Che sfumature acquista in Rimbaud? Era un vagabondo nato. Posso citare Kundera? Rimbaud, che aveva ordinato a tutti di essere assolutamente moderni, era un poeta della natura. Rimbaud era un vagabondo, nelle sue poesie c’erano parole che l’uomo d’oggi ha ormai dimenticato o dalle quali non trae più nessuna gioia: crescione, tigli, quercia, grilli, noce, olmo, erica, corde, soprattutto strade. Per lui la strada è una lode allo spazio. Ogni tratto di strada ha senso in sé stesso e ci invita alla sosta. Ma oggi, “prima ancora di scomparire dal paesaggio, le strade sono scomparse dall’animo umano: l’uomo ha smesso di desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire per questo”.

4) Cos’è impossibile dimenticare di Jean Nicolas Arthur Rimbaud

Raccontando Rimbaud non ho cercato la verità di Rimbaud ma la verità in Rimbaud, la verità che un poeta sa illuminare e diffondere, tracciando un percorso nell’invisibile, in quella zona verso cui guardò Arthur, figlio di contadini disegna la silente e incorporea costellazione che seppe rilevare dal nulla ”Inventarne la storia per ritrovarne il filo”, scrive Artaud. Come qualcosa di diverso, la fatica di conoscere, la dannazione di conoscere, con il file rouge del romanzo che sta nella ricerca indiziaria, nell’investigazione di un’esistenza irripetibile; come un giallo che alla fine non ha soluzione, ma solo la nudità del problema e che in ogni momento corre il rischio di vedere il suo oggetto svaporare nell’ovvietà dello stereotipo, oppure resistere a ogni tentativo di scasso.

5) Ultima e consueta domanda. Nella vita di un uomo la lettura non è un bisogno primario. Secondo te quanto è importante leggere? Possiamo veramente fare a meno di essere dei lettori?

Credo che una delle cose più belle che mi siano accadute nella vita sia aver imparato a leggere.  Se ci pensi, è un’attività accessibile, pratica, flessibile. Ma allarga la memoria e l’immaginazione, è esperienza fondamentale: grazie alla lettura che andiamo oltre la nostra vita, riusciamo a vivere più vite. Perché il tempo che dedichi all’ “infinito intrattenimento” della lettura, dilata all’infinito “il tempo per vivere”.

 

RENATO MINORE
Rimbaud: la vita assente di un poeta dalle suole di vento
Bompiani