Onirismi dannunziani – Intervista a Paola Ottaviano

  1. Paola Ottaviano è una psicoterapeuta che conosce a fondo la sterminata opera dannunziana. Ci racconti di questo percorso di ricerca nei confronti di Gabriele D’Annunzio?

Come ogni grande passione, la mia per l’opera letteraria di Gabriele D’Annunzio è nata quando ero ancora molto giovane (intorno agli 8 – 10 anni) cioè sin dai primi contatti con la parola dannunziana. Successivamente, il fascino per la produzione letteraria dell’autore col quale condivido le origini abruzzesi, si è acuito sempre di più, portandomi a leggere ed approfondire l’opera dannunziana e gli innumerevoli scritti sia epistolari che giornalistici dell’autore che sono stati pubblicati nel tempo, nonché la copiosa produzione critica sull’argomento in questione. Il mio approccio all’opera dannunziana è stato sempre quello empatico, cioè l’approccio che comunemente, anche se spesso inconsapevolmente, si ha nei confronti di un prodotto artistico. Credo che poi la mia consapevolezza dei contenuti empatici, dettati dalla mia formazione professionale, abbinati al profondo desiderio di rimandare agli altri l’assoluta bellezza dell’arte dannunziana, abbiano fatto il resto.

2. “Onirismi dannunziani” è un breve testo teatrale dove esplori il D’Annunzio poco noto. Come nasce questo progetto? 

Diversi anni fa, prima che ci lasciasse, ho avuto la fortuna di conoscere personalmente il Regista: Mario Di Iorio, che nel 2005 ha diretto il film “La figlia di Jorio”. Durante il nostro unico incontro, dettato dalla nostra comune passione dannunziana, il maestro, grande esperto di teatro, mi suggerì di scrivere un testo teatrale sui sogni di D’Annunzio. Fece anche un esempio, immaginando che la pièce si aprisse con un D’Annunzio dormiente in un grande letto. Questa immagine così viva e tangibile mi ha sempre fatto pensare al teatro di Edoardo De Filippo, così ho onorato il desiderio del maestro Di Iorio, uscendo però dall’immagine un pò ingenua del poeta che dorme e poi sogna, ma entrando immediatamente nel sogno dell’uomo D’Annunzio, attraverso la più immediata delle arti, quella che il poeta stesso ha saputo coniugare in alcuni suoi drammi: la musica. Infatti è proprio la dimensione sonora e musicale la  vera protagonista di “Onirismi dannunziani”, aspetto che rende il testo particolarmente adatto ad uno spettacolo di teatro-danza o ad un cortometraggio.

3. Gabriele D’Annunzio vanta una biografia di grande fascino, perché secondo te ogni tanto persiste una immagine distorta?

D’Annunzio nel costruire la sua vita come un’opera d’arte, ci ha voluto lasciare un’immagine di se idealizzata ed esaltata, per definizione distorta rispetto all’autenticità dei contenuti più profondi sia di se come persona, sia della sua stessa copiosa produzione artistica. Poi le sovrastrutture politico-religiose, attraverso le quali è stata sempre filtrata l’opera dannunziana, hanno fatto il resto, scotomizzando l’essenza dell’opera letteraria di Gabriele D’Annunzio che è il dolore esistenziale, fermandosi sempre ad aspetti più di superficie: il panismo, l’estetismo, il superomismo. Infondo scoprire davvero un artista significa andare oltre la sua maschera, il compito della ricerca letteraria deve andare in questa direzione come è effettivamente accaduto negli ultimi trent’anni, con critici letterari come Barberi Squarotti, Artioli, Sorge, Antonucci e Oliva. Tuttavia, l’immagine distorta di D’Annunzio che ci arriva ancora oggi si deve a due fattori fondamentali, uno è la complessità della maschera, che l’artista ci ha voluto lasciare che è talmente strutturata e perfetta che molti vogliono continuare a crederci; l’altra dipende dal dato reale per cui intere generazioni di docenti in Lingua e Letteratura italiana (che si sono formate nelle Università italiane negli anni ’60), sono state nutrite proprio da quella maschera (corroborata dalla cultura marxista) tanto da non averla mai superata, con tutte le conseguenze che questo comporta sull’impatto formativo nei licei.

4. Continui la tua ricerca? Ci sono progetti a cui stai lavorando? 

Desidero continuare ad attingere all’universo dannunziano e credo che continuerò a farlo sino a quando avrò l’esigenza di conoscere me stessa attraverso l’opera dannunziana. Quanto ai miei progetti futuri, quello imminente è la pubblicazione del mio primo romanzo dal titolo: “La maschera di foglie” che sta per uscire con la Casa Editrice Leonida di Reggio Calabria e che ancora una volta contiene importanti spunti dannunziani. Infatti il  romanzo riporta dei passi tratti dall’opera di Gabriele D’Annunzio, oltre ad incentrarsi su una drammatica storia d’amore, tematica sicuramente molto vicina alla narrativa dannunziana. Il mio progetto più grande è quello di avvicinare le nuove generazioni alla lettura dell’opera dannunziana, ed il passaggio come autrice, dalla critica letteraria alla scrittura creativa (teatro e narrativa) va sicuramente in questa direzione.

5. La domanda di rito per un blog che desidera promuovere la lettura. Nella vita di un essere umano la lettura non è un bisogno primario. Possiamo veramente fare a meno di essere dei lettori?

Alla base della lettura c’è sempre la ricerca di una storia per conoscere meglio la propria storia, quindi l’uomo non potrà mai fare a meno di leggere. La lettura accompagna l’uomo in tutta la sua esistenza, dall’ascolto della lettura nei bambini anche molto piccoli, sino all’ascolto degli audiolibri nelle generazioni meno giovani. Leggere o fruire della lettura degli altri ha sempre una funzione non solo catartica, ma di autoconoscenza, per tanto l’uomo trova nei libri una sorta di specchio magico. Infatti se Narciso si è annientato proprio perché innamorandosi della sua stessa immagine, è finito annegato nell’acqua in cui si era specchiato, al contrario una buona lettura ci rimanda sempre qualcosa che va ad integrare e nutrire la nostra stessa immagine. Ci sono tanti tipi di lettori, quelli che leggono di tutto, quelli appassionati di un genere specifico, quelli che hanno un autore preferito, ma alla fine ognuno trova nella lettura lo specchio dei suoi contenuti più autentici e profondi. Credo che dopo il COVID-19, i buoni lettori abbiano avuto una strategia in più rispetto agli altri per ridefinire il proprio equilibrio personale e relazionale. Insomma amare la lettura fa parte della resilienza di ognuno di noi. Riuscire ancora a mantenere la curiosità per una storia nuova da conoscere, crea dentro ciascuno lo spazio intimo necessario sia per scoprire nuovi orizzonti interiori, sia per andare avanti nella propria esistenza.