Cristo fra i muratori

Intuivo che Cristo fra i muratori, un romanzo poco conosciuto in Italia, fosse in grado di farsi amare, ed è il motivo che mi ha condotta sulla strada dell’attesa fino al mese di gennaio quando è tornato sugli scaffali delle librerie, grazie alla casa editrice Readerforblind, con la traduzione di Nicola Manuppelli e la prefazione affidata alla penna di Sandro Bonvissuto. Nel libro, pubblicato in Italia nel 1959, Pietro Di Donato racconta il suo destino attraverso le vicissitudini di un ragazzo, Paul, che dopo la morte del padre, capomastro in un cantiere edile di New York, deve farsi carico della madre e dei suoi fratelli, decide così di sostituirsi all’amato Geremio. Muro dopo muro scompare il ragazzo e compare un uomo. Di Donato nasce a West Hoboken nel 1911 è di origine abruzzese infatti il 1960 lo vede per la prima volta in una fuggevole visita a Vasto; è un uomo che conserva lo schietto idioma della terra italiana, confezionando un caratteristico accento che somiglia ad un canto affettuoso. Viene definito il muratore scrittore, ma io preferisco non definirlo, perché Pietro è dovuto essere tante cose, perché scrittore si nasce. Trainato dall’amore per la lettura fin da giovanissimo, Di Donato comincia a scrivere per appagare un senso di inadeguatezza consegnato da un presente spietato e racconta di quell’America costruita anche dagli italiani.

Siamo dentro un libro aperto, gli occhi scorrono dietro a tutte le parole che magistralmente Di Donato sceglie per imparare a vivere il rischio di un cantiere vivo, per non sentire tutto il mondo addosso. Gesticola tra la poesia e la brutale verità. Siamo sopra i ponteggi di un grattacielo, respiriamo calce, solleviamo pesi, odoriamo di carne abbrustolita, se è caldo o freddo non importa, dobbiamo lavorare e basta. «Ah, piccolo Paul mio, se solo bastasse la volontà a cambiare il corso degli eventi. Come vorrei che i desideri del cuore bastassero a guarire le nostre pene, a far scomparire queste nuvole funeste da sopra la nostra testa con il sole del desiderio e dissipare con il sonno la paura e la fame.» Restiamo affaticati al centro del foglio dopo la narrazione lucida, intenta a non chiederti lacrime, ma solo consapevolezza. Non è un libro rilassante, c’è dentro il sacrificio di una famiglia che emigra per rendere migliore il futuro dei figli, accetta una esistenza emarginata e scopre l’esistenza di più mondi troppo distanti tra loro. Ci sono delle pagine indimenticabili, il frutto del senso della fantasia e della forza innata chiamata osservazione insita nel talento di Pietro Di Donato, pagine che riflettono un concetto: tutti nella vita abbiamo un istante stampato.

«Le mani incrostate di malta e screpolate, gocciolanti del sugo del pranzo piccante, si allungano verso il fornello con le dita tese e affamate di calore. “Cucù, ora si che ragioniamo!”. Fuoco fiammeggiante e irrequieto. Calore e tepore per schiene, mani, piedi, teste da scongelare ravvivare. La ristretta baracca contiene a malapena quei volti spessi e ruvidi come mattoni, ma con le sue pareti e il pavimento spoglio e polveroso, con quella stufa approssimativa e gradevole, quegli attrezzi sparsi in giro, gli abiti pesanti, i petti forti e muscolosi e le braccia gagliarde, con quelle voci a piena gola, somiglia al Paradiso… E si trova lì, ai piedi dell’edificio che si innalza solitario, austero, più freddo del freddo stesso.»

PIETRO DI DONATO
Cristo fra i muratori
Edizioni Readerforblind