Giulio Einaudi – Intervista a Chiara Faggiolani

  • Il libro approfondisce uno degli aspetti meno trattati della straordinaria impresa di Giulio Einaudi a servizio della cultura: la sua attività a favore delle biblioteche pubbliche in Italia negli anni Sessanta, come nasce questo progetto?

Il progetto è nato sicuramente da un grande interesse vero il progetto culturale einaudiano. Per comprendere il senso dell’editoria come servizio pubblico che Giulio Einaudi ha concretizzato bisogna ricordare un pochino la storia di questa incredibile casa editrice fondata nel 1933 a Torino. Giulio Einaudi aveva 21 anni e con lui Leone Ginzburg  e Cesare Pavese che ne avevano pochi di più.  La casa editrice nasce praticamente sui banchi di scuola del Liceo D’Azeglio di Torino dove insegna uno straordinario Professore che è Augusto Monti che diventa per i suoi allievi una sorta di tratto generazionale. Monti condiziona per sempre il loro modo di immaginare, di rappresentare e costruire la vita, sempre all’insegna dell’impegno, dell’esserci davvero, dell’essere schierati. Sempre spinti da una grande passione civile. È Monti che insegna a Einaudi a leggere davvero, lo dice lo stesso Editore: “Da nessuno ho mai sentito leggere la Divina Commedia come da lui: senza retorica, come cosa viva”. Così a partire dalla costituzione di quel primo gruppo di intellettuali nati sui banchi di scuola intorno alla figura di Augusto Monti e anche grazie alla figura del Presidente Luigi Einaudi, il padre dell’Editore, Giulio Einaudi realizza una  “casa editrice laboratorio”  sensibile alle tensioni culturali e politiche del presente, sempre orientata alla ricerca e alla sperimentazione che non vuole accontentare il pubblico ma che vuole educarlo. La  “Giulio Einaudi, Editore” nei primi anni trenta – che ricordiamolo sono tra gli anni tra i più bui della nostra storia – ha iniziato la sua corsa verso un Paese tutto da costruire, riconoscendo al libro quel potere straordinario di cambiare la vita delle persone, il potere del  risveglio e della crescita.  In questo scenario si inserisce la storia della biblioteca di Dogliani già nota e l’attività politica a supporto della pubblica letture dell’editore. Questa molto meno nota.

  • Secondo Giulio Einaudi di quali valori è portatrice la biblioteca pubblica?

Per rispondere a questa domanda può essere utile capire bene la vicenda della biblioteca di Dogliani, e per farlo dobbiamo entrare nel vocabolario di Giulio Einaudi dove l’editoria è un servizio pubblico, la politica è partecipazione diretta alla vita pubblica, senso di responsabilità e valore di cittadinanza e la cultura è un livello dell’azione politica. Per queste ragioni per uno come lui è stato impossibile non intervenire sul tema delle biblioteche e della pubblica lettura. La storia della biblioteca di Dogliani inizia il 30 ottobre 1961 il giorno della morte del Presidente Einaudi, considerato uno dei padri della Repubblica e il padre dell’Editore, appunto. Il Comune di Dogliani, nelle Langhe, la terra d’origine della famiglia, chiede a Giulio, di realizzare un monumento per onorarne la memoria.  E l’editore dona alla comunità una biblioteca pubblica centro culturale. Una azione incredibile. Ricordiamo che Dogliani allora era un paese di 4000-5000 abitanti, in una zona come si diceva allora “depressa”, come ce ne erano tantissimi in Italia, non certo le Langhe del turismo che conosciamo oggi. Per questo progetto Einaudi coinvolge Paolo Terni, che sarà il vero e proprio artefice del progetto, un musicologo raffinatissimo che viene scelto da Einaudi perché porta con se un bagaglio di esperienze preziosissimo, maturato pochi anni prima, tra il 1958 e il 1962 lavorando al cosiddetto ‘Progetto Sardegna’, una azione realizzata dall’OECE (Organizzazione europea di cooperazione economica) – poi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – in collaborazione con il Governo Italiano, la Cassa per il Mezzogiorno e la Regione Autonoma della Sardegna, «allo scopo di mettere a punto tecniche di intervento utili e nuove nel campo dello sviluppo delle regioni sottosviluppate”. Einaudi coinvolge inoltre tutti gli editori italiani che donano i libri che costituiranno il fondo iniziale. Inoltre Einaudi coinvolge un grande architetto, Bruno Zevi, un architetto che aveva dato un vero e proprio graffio al presente attraverso una architettura fatta di un patrimonio nuovo di idee che avrebbe segnato il futuro. Anche Zevi dona il suo progetto architettonico. Si tratta dunque di una grande azione di mecenatismo culturale. La biblioteca civica “Luigi Einaudi” viene inaugurata il 29 settembre 1963: lo stesso anno in cui le medie unificate diventano una realtà, l’anno in cui il boom dei consumi privati arriva all’apice. Siamo nel miracolo economico. La biblioteca di Dogliani, di colore rosso intenso, sempre illuminata, anche di notte, arriva quasi come un corpo estraneo nel contesto della Dogliani degli anni Sessanta, atterra misteriosamente nella piazza del paese e diventa il cuore della comunità, frutto di una azione audace è il simbolo di una cultura praticabile da tutti. Ecco direi che questo è il valore fondamentale.

  • Il “sistema” qui descritto è quello del libro nella sua complessità, dove centrali non erano le strutture ma le relazioni  tra le diverse entità come gli editori, gli autori, le librerie, le biblioteche i loro ruoli e le loro interazioni.

“Occorre inserire il problema delle biblioteche in una politica globale di sviluppo. Lo sviluppo economico non è isolato in se stesso: se cioè non si compie uno sforzo parallelo tra investimenti produttivi e investimenti ‘formativi dell’uomo’ – scuola, istituti di ricerca, biblioteche ”. Queste sono parole di Einaudi. È qualcosa che oggi ci sembra molto familiare se pensiamo all’Agenda 2030 ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Il sistema descritto da Einaudi era quello del libro ma a sua volta esso era inserito in una visione sistemica ancora più ampia.

  • Quanto tempo hai impiegato per svolgere una ricerca così approfondita e raffinata? Il libro contiene descrizioni, citazioni, atti di convegni, discorsi.

Sono felice che questo aspetto emerga chiaramente. Questo libro ha avuto una gestazione piuttosto lunga perché importanti sono state le riflessioni che ha generato e complesso è stato il mio metodo di ricerca. Se devo quantificare direi almeno 3 anni di lavoro. Una caratteristica del libro per me centrale è l’importanza attribuita alle parole. Le fonti orali. È questo forse il tratto che unisce questa ricerca alle mie ricerche più abituali. In questo caso sono due le fonti che hanno a che fare con la dimensione della soggettività che a me interessava rintracciare: 1) Le testimonianze dei protagonisti che più o meno direttamente avevano avuto a che vedere con questa vicenda: ho realizzato  40 interviste che si ritrovano tra le righe del discorso: dai famigliari di Giulio Einaudi che non finirò mai di ringraziare, la figlia Giuliana, il nipote Malcolm, Alessandra Terni, la figlia di Paolo – protagonista di questa vicenda –  persone che sono state vicine all’editore, Guido Davico Bonino, Ernesto Ferrero, Walter Barberis, Alberto Asor Rosa, Franco Ferrarotti e molti altri… 2) Ma soprattutto le parole dell’Editore: scritte, che ho ritrovato in Archivio Einaudi, e i suoi discorsi che ho recuperato, conservati presso l’Istituto Centrale Beni Sonori e Audiovisivi,  dove ho potuto ascoltare la voce dell’Editore, quella che Natalia Ginzburg nel suo Lessico Famigliare descrive «nasale, lagnosa, timida e beffarda”. A me interessava capire come Giulio Einaudi parlava delle biblioteche, ho cercato di mettere al centro dell’attenzione, il suo “discorso di fatti” l’aver inserito le biblioteche nel sistema del libro, vedendole come un tassello fondamentale della filiera. È abbastanza impressionante rileggere questi discorsi oggi a distanza di più di 50 anni perché conservano una straordinaria attualità.

  • Giulio Einaudi è stato anche un provocatore, quale reazione forte, se c’è stata, ha ricevuto dal mondo bibliotecario?

Con questa ricerca non volevo dimostrare il fallimento o il successo del progetto  einaudiano ma volevo capire l’idea di biblioteca che un Editore (la e maiuscola non è casuale) come Einaudi – che aveva scelto l’editoria come campo d’azione e come servizio pubblico –  poteva ritenere indispensabile per la crescita del paese. La prima impressione che ho maturato durante gli anni della ricerca rispetto alla reazione è che la biblioteca di Dogliani è rimasta essenzialmente un esempio isolato e di questo progetto è stato raccontato soprattutto il fallimento che però è legato essenzialmente alla “piantumazione degli edifici” – come diceva Einaudi – ovvero alla mancata replica del modello architettonico di Bruno Zevi che si è effettivamente fermato a pochi chilometri da Dogliani, a Beinasco nel 1968. Quindi direi una reazione piuttosto fredda. Nel tempo però ho cominciato a distaccarmi da questa idea e ho cominciato a pensare alla ‘piantumazione delle idee’ che invece è andata avanti ed è arrivata molto più lontano, nello spazio e nel tempo. È come se il piano dell’espressione e il piano del contenuto si siano separati.
Ci sono vari esempi di biblioteche che hanno attinto concretamente all’idea di Giulio Einaudi, penso alla biblioteca di Beinasco, che è stata recentemente ristrutturata; alla biblioteca dei lavoratori portuali a Livorno – una bellissima storia legata a Franco Antonicelli –  qui la biblioteca, che i portuali aprirono nella loro sede livornese, era disegnata su quella di Dogliani e i libri proposti nel catalogo furono acquistati in blocco. Ci sono state poi due repliche importanti: la prima esperienza importante è il progetto dei Centri di Servizi Culturali (CSC) per il Mezzogiorno attuato dal Formez tra il 1968 e il 1972 e la seconda esperienza è il modello di biblioteca comunale che comincia ad affermarsi nel Settentrione e Modena è, forse, l’esempio più eclatante che forse aveva già tutti i presupposti per una continuità d’azione e per un radicamento. In sintesi su questo aspetto, io direi che Giulio Einaudi – da qui anche il titolo del mio libro – pensava forse come un ministro per la cultura, ma non lo era e la sua casa editrice non era un ministero, che di fatto sarebbe nato solo dieci anni dopo. Se vogliamo fare un vero bilancio di questa esperienza, è importante ricordare che alla biblioteca di Dogliani è stato rimproverato di essere stata una iniziativa individuale e paracadutata, insufficiente e dispersiva. Velleitaria e isolata. Io credo che se di isolamento si può parlare, esso, più che essere un difetto intrinseco al progetto, è stato la conseguenza del modo sordo con il quale è stato recepito. E infatti direi che l’inserimento della biblioteca in un ragionamento di politica culturale è stata forse la più grande eredità lasciata da Giulio Einaudi che oggi potrebbe ancora essere praticata e della quale abbiamo immensamente bisogno.

  • La domanda di rito per un blog che promuove la lettura. Nella vita di un essere umano la lettura non è un bisogno primario. Possiamo veramente fare a meno di essere dei lettori?

Ovviamente io non penso sia possibile farne a meno. Chiudo questa intervista con una sorta di manifesto personale che condivido con i miei studenti all’inizio dell’anno accademico e che dice più o meno questo:

Noi crediamo che la lettura sia un mezzo straordinario per la costruzione di sé, un indispensabile strumento di consapevolezza emotiva, di pensiero critico, un’esperienza formativa fondamentale per cambiare la percezione che abbiamo di noi stessi e per conoscere la complessità del mondo. Noi crediamo che sia un mezzo per immaginarlo il mondo. Noi crediamo che anche attraverso i libri che leggiamo costruiamo la nostra essenza di persone. Noi crediamo che senza alcune fondamentali letture le persone sarebbero in qualche modo peggiori: meno empatiche, meno coraggiose, meno flessibili, meno ottimiste, meno aperte al mondo e alla vita. Noi crediamo che la lettura sia una chiave fondamentale per contrastare gli analfabetismi, quello funzionale, quello di ritorno, quello emotivo, gravissimo problema della nostra contemporaneità, specialmente dopo i due anni vissuti all’insegna del distanziamento sociale. Noi crediamo che la lettura sia anche un mezzo per nutrire le relazioni sociali, per attivarle, per sviluppare empatia, compassione, solidarietà.

Potrei andare avanti ma mi piace chiudere così.

CHIARA FAGGIOLANI
Come un Ministro per la cultura.
Giulio Einaudi e le biblioteche del sistema del libro.
Firenze University Press