«La mamma mi raccontava che tra i momenti più deliziosi dei suoi giorni di sposa c’erano quelli della mia attesa. Papà le era unito. Si piegava su di lei per ascoltare i battiti del mio cuore. Vedeva il darsi da fare dei miei piedini per aprire la porta. Mi parlava chiamandomi per nome. Aveva la certezza che sarebbe nata una femmina e scriveva a Luisa, la sorella del cuore, ‘ogni giorno accarezzo il pancione di Pierotta perchè dentro c’è la mia Luisedda”». Scrive questo ricordo in una lettera datata 1990, Luisa Rodriguez, nata a Buggiano il 27 luglio del 1910, figlia di Alfredo Giovanni Leopoldo Rodriguez (Barone messinese) in arte Febo Mari star del cinema muto, e di Berta Vestri in arte Piera Vestri. Con lo pseudonimo di Isa Mari ha collaborato a diverse sceneggiature, ha lavorato come segretaria di edizione nel film La dolce vita di Federico Fellini e nel 1953 pubblica un romanzo verità, Roma, via delle Mantellate, dopo essere stata in carcere un breve periodo per motivi politici. Renato Castellani traspone il romanzo sul grande schermo grazie alla penna d’oro di Suso Cecchi D’Amico, la sceneggiatrice trascorse molto tempo, come ospite, nel carcere per trarne ispirazione. Coinvolse Anna Magnani e Giulietta Masina e diede vita al film Nella città l’inferno; titolo che adotta la casa editrice Readerforblind per far nascere di nuovo il romanzo di Isa Mari.
Tutta la storia si svolge nel carcere femminile, la scrittrice si assume la responsabilità di raccontare la vita che accade dentro ad un essere umano quando è chiuso in una cella mentre i sogni sono scheggiati, il rapporto con il proprio corpo è complicato, dove si pensa al senso dell’amore in una vita improvvisata, in un luogo privo di tempo e di perpetua mancanza di intimità. È di responsabilità che si tratta quando a spingere la penna in avanti è il coraggio per conquistare la consapevolezza, per denunciare il mostro che vive nella parte interna di te, quando ti ripete che il tuo destino è uno solo, mentre sopravvivi in un posto grigio come la paura. Gianna, Leonella, Giuliana, Ortensia, Margherita, Rosina, Olimpia, Tecla, Gilda e ancora le inseparabili Paola e Antonella, donne, ognuna con la propria realtà, ognuna con il suo reato, il proprio dialetto e la propria cattiva stella; questo è l’unico movimento del libro, perchè è fuori dove tutto scorre. In Via delle Mantellate ci sono solo celle piene di attese spericolate. Con stile credibile, Mari inserisce nel romanzo (a mio avviso è anche un documento!) esistenze di detenute che dal 1985 sono trasferite nell’ex monastero e racconta in prima persona ciò che accade fin dal suo ingresso in carcere, destinata alla cella numero otto: «Quando cominciai a uscir di cella per badare al mio incarico di bibliotecaria, Paola e Antonella si ornarono di spirituali penne di pavone per l’onore che m’era toccato e sturarono una bottiglia di manufatta acqua di whisky per farmi festa col botto. Dovevo essere proprio una persona molto a modo a loro avviso, se mi avevano affidato, solo dopo pochi mesi di detenzione, un incarico così ambito e distinto».
Ho studiato rimanenze di documenti dove ho compreso che la bellissima Isa Mari è una donna forte e tenera, assertiva e creativa, lo stesso carattere della sua scrittura. Leggo l’ultima pagina del suo romanzo e per la seconda volta chiudo un libro che difende tutte le emozioni che è riuscito a carpire; le stringe come in una cella quando si chiude il cancello che sigilla tutto ciò che contiene. Cosa ho compreso restando in Via delle Mantellate per 270 pagine? Il destino non è solamente uno quando la libertà significa aprire le braccia alla vita che ti viene incontro.
ISA MARI
Nella città l’inferno
Readerforblind
(collana Le Polveri)